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IL TRIBUNALE DI PERUGIA RESPINGE L’APPELLO DI UMBRA ACQUE: IL GESTORE CONDANNATO AL RIMBORSO DELLE SOMME CORRISPOSTE PER LA DEPURAZIONE

Il Tribunale di Perugia, in persona del Giudice dr. Edoardo Postacchini, con sentenza n. 1129/2024, ha rigettato l’appello proposto da Umbra Acque contro la sentenza del Giudice di Pace di Perugia, Dr.ssa C,. Cristiani, che aveva a suo tempo accolto il ricorso di un utente del servizio idrico.

La causa aveva preso il via dal ricorso presentato al Giudice di Pace di Perugia dal sig. Piero Consalvi, con il supporto del Comitato Umbro Acqua Pubblica e con l’assistenza dall’avv. Sandro Ponziani, del foro di Città di Castello, con il quale si chiedeva il riconoscimento del diritto al rimborso degli importi indebitamente corrisposti ad Umbra Acque, non solo dal novembre 2008 in poi, ma anche dal maggio 2003 al novembre 2008; infatti all’utenza del ricorrente, pur non essendo servita da alcun impianto di depurazione, Umbra Acque Spa, aveva sempre addebitato la quota di tariffa riferita alla depurazione, da ritenersi però non più dovuta a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 335/2008, che aveva dichiarato la illegittimità di tale balzello, in mancanza del relativo servizio.

All’esito del primo grado di giudizio, il Giudice di Pace aveva condannato Umbra Acque S.p.a., difesa dal Prof. Avv. Carlo Calvieri, a rimborsare la quota di depurazione non dovuta, per chi non è servito da depuratore funzionante, applicando al rimborso la prescrizione decennale, e condannando altresì il gestore al pagamento delle spese di giudizio.

Infatti, a seguito della predetta sentenza della Corte Costituzionale, l’Ambito Territoriale Integrato n.1 n.2, dell’Umbria, le cui competenze sono poi state trasferite all’ A.U.R.I., nonché Umbra Acque, hanno optato per una interpretazione estremamente restrittiva della sentenza della Corte Costituzionale, lesiva dei diritti degli utenti, volta a rimborsare la depurazione, calcolandola soltanto per cinque anni dalla data della domanda di rimborso.

Il Giudice di Pace di Perugia, aveva invece accolto quanto sostenuto dall’Avv. S.Ponziani, secondo il quale il rimborso doveva essere calcolato in maniera retroattiva per dieci anni ( e non cinque), a ritroso dalla data della sentenza, a far data quindi dal 2003, inizio della gestione di Umbra Acque; ciò in quanto il rimborso doveva essere considerato come una somma unitaria, da rimborsare all’utente, con prescrizione pertanto decennale, ai sensi dell’art. 2946 del Codice civile, trattandosi di somme indebitamente percepite da Umbra Acque e quindi soggette al regime di cui all’art. 2033 c.c. (come più volte ribadito anche da numerose Sezioni Regionali della Corte dei Conti, e ora anche dalla Corte di Cassazione).

Ciò malgrado, contro tale sentenza Umbra Acque presentava ricorso in appello al Tribunale di Perugia, il quale, all’esito del procedimento, con la recente sentenza, ha però confermato quanto già sancito dal Giudice di primo grado.

Il Tribunale, in particolare, ha rigettato la tesi di Umbra Acque della prescrizione quinquennale ( e non decennale ) del diritto al rimborso, nonché l’altra asserzione del gestore – lesiva dei diritti degli utenti – secondo cui la sentenza della Corte Costituzionale dovrebbe valere solo dalla data della sua emissione in poi.

Ha confermato pertanto che il pagamento eseguito dall’utente è da ritenersi indebito, e che al medesimo debba applicarsi l’art. 2033 del Cod. Civile, con conseguente prescrizione decennale.

Il Giudicante ha altresì ritenuto manifestamente infondata l’altra tesi di Umbra Acque secondo cui, in base all’art. 8 sexies del DL n.208/2008, la determinazione della somma da rimborsare sarebbe di spettanza della medesima; è infatti evidente – osserva il Tribunale – che l’omissione di una tale determinazione da parte del gestore è senza dubbio suscettibile di determinazione giudiziale all’esito di un giudizio contenzioso.

Per tale motivi, Il Tribunale di Perugia ha rigettato l’appello di Umbra Acque, condannandola alla restituzione all’utente delle somme indebitamente percepite, nonché al pagamento delle spese legali del giudizio, ed anche al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato.

La sentenza assume una particolare importanza, per tutti gli utenti ai quali siano state fatte pagare – o tuttora siano fatte pagare – somme a titolo di depurazione, pur non ricorrendone i presupposti di legge, i quali potranno far valere nei confronti del gestore il diritto al rimborso delle somme indebitamente corrisposte, o alla non corresponsione delle somme ancora non pagate richieste a tale titolo.

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La dittatura di Umbra Acque spa e dei Comuni che la sostengono

Non si può definire in altro modo la situazione in cui il gestore privato di un servizio come quello idrico si può permettere di non rispettare la convenzione di gestione, i piani d’ambito e di conseguenza obbligare i cittadini a pagare tariffe inadeguate, pena il distacco dell’acqua che è un diritto umano fondamentale, naturalmente con l’appoggio di tutte le amministrazioni comunali che la sostengono (leggasi AURI), in primis il comune di Perugia.

A tal proposito ricordiamo che il Comitato Umbro Acqua Pubblica, attraverso un utente, si è fatto promotore di un’azione popolare, evidenziando le numerose inadempienze di Umbra Acque spa compiute nel corso degli anni della sua gestione (vedi precedente c.s.) e chiedendo al Tribunale di Perugia la risoluzione della convenzione, e/o l’adeguamento delle tariffe nella misura degli investimenti effettivamente realizzati e previsti nel Piano d’Ambito e l’applicazione delle penali previste per i ritardi e la mancata esecuzione dei lavori.

Immancabile e prevedibile la risposta del gestore che scarica la responsabilità addosso ai Comuni che l’hanno deliberata, insieme all’aggiornamento del Piano degli interventi e, all’ARERA (Autorità di controllo) che stabilisce il metodo tariffario e approva gli atti dei Comuni.

L’AURI (Assemblea dei Comuni), invece di schierarsi dalla parte dei cittadini, ovviamente, ha rincalzato e difeso il gestore, affermando di aver sempre ritenuto corretto il suo operato e che le tariffe sono sempre state approvate da ARERA, dimenticando (o ignorando che è peggio) la funzione dell’Autorità quale regolatore della tariffa idrica, che riferendosi ad un monopolio naturale non potrebbe essere stabilita secondo i principi economici della privatizzazione aventi come unico obiettivo il profitto.

Infatti ad ARERA vengono comunicati semplici dati numerici sugli investimenti, a volte ancora da verificare, necessari a stabilire la correttezza della copertura tariffaria (Piano Economico Finanziario) necessaria per il raggiungimento degli obiettivi di gestione (Piano degli investimenti).

Sulla base dei dati numerici e di bilancio comunicati, ARERA prevede 4 quadranti regolatori che consentono maggiori aumenti tariffari per premiare le gestioni più efficienti (maggiori investimenti= meno costi di gestione – perdite delle reti) e, come si evince nella relazione allegata alla delibera AURI ( All. sub2, pag. 19 Del. Cons.Dir. 25/2020), la tariffa del periodo 2020/2023 e 2018/2019 si posiziona sul 4 quadrante regolatorio per la “scarsa capitalizzazione del gestore rispetto agli investimenti pianificati nel periodo”.

Ma la responsabilità del controllo sulla natura degli investimenti effettivamente programmati per il miglioramento del servizio idrico e la tutela dell’ambiente (e non quelli destinati ad altri scopi), esula dai compiti di ARERA ed è tutta in capo all’AURI e cioè l’assemblea dei Comuni, che ha il compito di sorvegliare sul rispetto della Convenzione di affidamento del servizio.

Il Comitato, nell’Azione popolare, ha fatto presente come dagli atti dell’AURI, si rilevano notevoli differenze tra investimenti programmati e realizzati nel periodo 2003/2018 (e la cosa non è finita negli anni successivi vedi precedente comunicato) e che gli effetti di tale inadempimento sono sotto gli occhi di tutti: aumenti delle perdite di rete e dei costi operativi e conseguenti aumenti tariffari.

In occasione dell’approvazione del bilancio, Umbra Acque spa ha presentato, oltre ai notevoli risultati (ovviamente in termini di profitti per la società), la riduzione delle perdite di rete, senza precisare però che l’ARERA ha dato la possibilità di togliere dal conteggio la parte di rete delle derivazioni verso le utenze accorciando quindi la misura complessiva delle reti da gestire (tutto si fa per favorire il gestore piuttosto che i cittadini e l’ambiente).

Nel rimpallo di responsabilità tra gli interessi del gestore privato, i Comuni e l’ARERA i cittadini non hanno nessuna voce in capitolo, devono solo pagare e stare zitti.

Questa è la massima espressione di democrazia che rimane ai cittadini.

Comitato Umbro Acqua Pubblica
acquapubblicapg@gmail.com
https://acquapubblica-umbria.noblogs.org/

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L’acqua del sindaco: sempre più lontana dalle persone, sempre più a favore delle multinazionali!

La siccità nel pianeta

Con circa 9 milioni di utile Umbra Acque spa quest’anno ha festeggiato la chiusura del bilancio 2022 insieme ai rappresentanti del socio privato ACEA spa (e della multinazionale francese Suez e Caltagirone che ne fanno parte) che rafforza il valore delle sue azioni quotate in borsa ed ai rappresentanti dei Comuni, completamente asserviti al socio privato.

Solo per citare alcuni dati, Umbra Acque spa ha incassato oltre 100 milioni di euro di ricavi da tariffa a fronte dei circa 75 milioni stimati, mentre gli investimenti realizzati sono stati molto meno di quelli programmati (21 milioni di cui solo 17 milioni circa per sistemi idrici, fognari e di depurazione, a fronte dei quasi 30 milioni programmati). Mantiene inoltre i debiti verso i Comuni per circa 2,6 milioni, sottraendo fondi che potrebbero essere usati in servizi pubblici ed espone circa 8 milioni di debiti verso le società del gruppo ACEA, di cui Umbra Acque fa parte.

Questi dati sono il risultato delle politiche di privatizzazione del servizio idrico e della gestione dei bacini idrici. L’acqua da diritto umano fondamentale da tutelare per la vita e la salute del pianeta diventa inevitabilmente una grande occasione di grandi profitti e speculazioni finanziarie.

Il riscaldamento climatico ormai sotto gli occhi di tutti che altera e modifica il ciclo dell’acqua provocando siccità e pressioni sui corpi idrici, oppure alluvioni devastanti, attrae sempre di più le multinazionali del settore che tentano di accaparrarsi i fondi pubblici destinati alla tutela ambientale, promettendo interventi di salvaguardia che in realtà si traducono in profitti e deterioramento, appropriazione e sovrasfruttamento di fiumi e corpi idrici.

Nella deriva ambientale che stiamo attraversando diventa essenziale nella gestione del servizio idrico la realizzazione degli investimenti programmati, per bloccare il deterioramento degli impianti, migliorare la qualità dell’acqua, eliminare le perdite in modo da ridurre il rischio di siccità.

Per evitare il disastro è necessario che politici e amministratori si assumano la responsabilità di un cambio di rotta radicale che vada verso la gestione pubblica e partecipata dei servizi idrici e delle risorse ambientali in modo da consegnare alle generazioni future un pianeta aperto alla vita.

Comitato Umbro Acqua Pubblica

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L’ACQUA NON SI TOCCA…. NEANCHE A GAZA!

da European Water Movement di cui il Comitato Umbro Acqua Pubblica fa parte:
L’European Water Movement condanna l’assedio di Gaza e chiede con urgenza il
rispetto dei Diritti umani e della Legge internazionale

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Una domenica in cammino sulla gola della Rocchetta

Incontrare gente in tuta da ginnastica blu e bianca in una gola in mezzo al bosco, fa strano. Ma è anche bello. Mangiare un panino con mortadella vicino un gelso altrettanto. Tutto questo perché? Perché una domenica, con il Comitato Umbro Acqua Pubblica di Perugia, dovevamo incontrare gli anti-Rocchetta SPA di Boschetto. Ed abbiamo fatto un bel giro.

Allora, parentesi (Boschetto è un piccolo paesino di settanta abitanti, frazione di Gualdo Tadino, Umbria. La Rocchetta invece, è un acqua in bottiglia. Molto famosa in Italia. Che da anni sfrutta – su concessione – le sorgenti dello stesso territorio. Tanto che i cittadini hanno, ad esempio, presidiato e picchettato davanti ai pozzi in tenda per un bel pezzo.

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LE NUOVE TARIFFE DELL’ACQUA

Con un comunicato stampa l’AURI (Autorità Umbra Rifiuti e Idrico), costituita dall’assemblea dei comuni che organizza e controlla la gestione del servizio idrico in Umbria, ha cercato di tranquillizzare i cittadini riguardo gli aumenti tariffari 2022-2023 deliberati a ottobre scorso: 5% nel 2022 e 7% 2023. In realtà, come per il principio della rana bollita di Chomsky, è più tranquillizzante parlare di un aumento del 5/7% in un anno piuttosto che “far scappare la rana” con un secco cocente aumento del 24,6 % nel periodo tariffario di 4 anni! (Del C.D 54 del 17/10/2022)

Salta subito agli occhi la natura dei costi che gli utenti di Umbra acque spa coprono con le loro tariffe. Vediamoli di seguito:

1) Investimenti lavori

In primo luogo i cosiddetti costi di capitale investito cosidetti “capex” (rappresentati dagli oneri finanziari e fiscali, calcolati sulla base di tassi di rendimento, tassi di rischio, inflazione attesa e applicati al Capitale investito netto) in sostituzione del famoso 7% fisso, abrogato con i referendum del 2011 e successivamente reintrodotto, appunto, sotto tale forma (vedi scheda di approfondimento1).

Riguardo il capitale investito, inoltre, anche per il 2022-2023 non si può fare a meno di constatare lo scostamento tra i lavori programmati nella precedente delibera, che risale a soli due anni prima, e  quelli realizzati

Come negli anni precedenti, i costi degli investimenti che gravano sulla tariffa sono sempre elaborati sulla base della   programmazione  e non della effettiva realizzazione dei lavori.

Per esempio i costi del 2022 dovrebbero essere rapportati a quelli effettivi del 2020, ma la relazione stessa  (2.3.1 pag. 17) precisa che sono ancora in corso i controlli di conformità sui lavori da parte della struttura tecnica dell’AURI.

Confrontando i dati inoltre, contrariamente a quanto dichiarato, risulta che il gestore ha realizzato una percentuale dei lavori ben al di sotto del 50% nel 2020 e intorno al 70% nel 2021, nonostante abbia ricevuto maggiori contributi pubblici di quelli previsti (scheda di approfondimento). Mentre gli utenti nella tariffa pagano i costi relativi al 100% dei lavori programmati.

E allora le risorse non spese dove vanno a finire?

2) Fondo nuovi investimenti

Tra le componenti di costo che gli utenti coprono con la tariffa c’è la famigerata componente FONI (Fondo Nuovi Investimenti): 4,2 Milioni nel 2022 e 6,6 milioni nel 2023. Questo fondo, una sorta di contributo a fondo perduto a carico degli utenti, non è vincolato a lavori specifici e programmati ne restituito se inutilizzato come prevede la norma ARERA (pag. 25, l. b) in riferimento al 2012 (4 milioni!)

Tra le novità dei costi di questo ultimo periodo tariffario ci sono:

1) OP mis – costi per l’erogazione di incentivi ai condomini finalizzati all’affidamento della gestione dei contratti dei singoli condòmini, servizio peraltro già svolto dagli stessi amministratori.

2) i costi ambientali relativi ad interventi di potenziamento della depurazione e potabilizzazione: saranno effettivamente realizzati? Oppure servono solamente a giustificare aumenti tariffari?

3) i costi per gli utenti morosi, oltre il 5%, superiore alla media nazionale del 3%: siamo sicuri che questa percentuale sia un dato effettivo e non invece dovuta ad una inefficiente gestione amministrativa del nuovo programma Acea 2.0 (anche questo a carico degli utenti!), con cui la partecipata privata di Umbra Acque spa ha voluto uniformare la gestione commerciale dei contratti delle utenze dei vari gestori dell’Italia centrale.

Non per niente al comitato arrivano tante segnalazioni dagli utenti che non ricevono bollette da tanto tempo oppure con interessi di mora ingiustificati.

4) aumenti di costi di energia elettrica: introdotto in tariffa il nuovo indice per la copertura di tali aumenti causati, secondo i dati del gestore, da inflazione e da contingenze internazionali, ma non si tiene conto della maggiore potenza di energia necessaria a pompare acqua su linee colabrodo e quanto si risparmierebbe  se le reti non perdessero circa il 50% dell’acqua immessa.

A tal proposito vogliamo ricordare che ARERA  (Autorità nazionale di regolazione energia reti e ambiente) stando ovviamente dalla parte del mercato e non dei cittadini, ha permesso ai gestori  di togliere dal conteggio della lunghezza delle  reti idriche le derivazioni d’utenza (del arera 639/21 pag. 15), mentre prima si arrivava ai contatori. Quindi la tanto declamata  riduzione delle perdite di rete, forse, deriva solo da uno sterile calcolo matematico.

Di recente Umbra Acque spa ha affermato che la società ha avviato un percorso di trasformazione in società benefit, con l’obiettivo di riduzione delle perdite.

Ma i dati sopra detti dimostrano come questo modello di gestione è rivolto essenzialmente ad ottenere i massimi profitti e aumenti delle quotazioni azionarie di ACEA (e alla partecipata SUEZ),  tariffe sempre più care e contributi pubblici, mentre il servizio idrico peggiora di anno in anno.

Contrariamente ad ogni ideologia di virtù imprenditoriale del privato, questo modello conferma ancora una volta che la gestione del servizio idrico, a costo zero per le società private ma completamente a carico di cittadini (bollette o tasse) è indifferente allo spreco della risorsa, diritto umano fondamentale,   che invece dovrebbe essere conservata per il futuro del pianeta.

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Azione Popolare del Comitato Umbro Acqua Pubblica: con la gestione privata i conti non tornano.

Da tempo è dimostrato che profitti e servizi pubblici non possono andare d’accordo e che le gestioni private massimizzano i profitti lasciando debiti e inefficienze al pubblico.

E’ il caso del servizio idrico che dopo quasi 20 anni di gestione privata ha prodotto utili e consolidato il patrimonio dei gestori grazie ai finanziamenti pubblici ed all’applicazione di tariffe salatissime.

Mentre i cittadini risparmiano sui consumi dell’acqua perché sensibili alla tutela della risorsa, oltre che alla bolletta, i politici, da una parte procurano allarme sulla crisi idrica (siccità e razionalizzazione dell’acqua) e dall’altra avallano sprechi e consumi, come ad esempio la perdita del 50% dell’acqua immessa nelle reti causata dalla mancata realizzazione, da parte dei gestori, degli investimenti programmati.

Il nocciolo della questione è che la gestione privata dei servizi pubblici essenziali (sanità, trasporti, scuola…) nel nostro caso il servizio idrico, può solo provocare elevati costi di gestione, sperpero della risorsa, impoverimento delle strutture, precarizzazione del lavoro, perdita delle competenze professionali.

Tutto questo è stato messo in evidenza dal Comitato Umbro Acqua Pubblica che ha citato Umbra Acque spa, con un’azione popolare presso il Tribunale di Perugia, vista l’inerzia degli Enti d’Ambito e dei Comuni che li compongono, che invece di sollecitare Umbra Acque spa al rispetto della convenzione, applicando anche le penali previste, hanno continuato in tutti questi anni a sottoscrivere tutto quello che veniva dal gestore senza entrare nel merito di alcun controllo.

Le inadempienze contestate nel periodo di affidamento sono:

-la mancata realizzazione degli investimenti programmati nel corso degli anni, alcuni dei quali riproposti di anno in anno ai fini dei piani tariffari;

.- l’aumento dei costi di gestione e degli investimenti non programmati come conseguenza diretta del mancato rispetto della programmazione;

– i debiti nei confronti dei comuni, in parte rimborsati con piani di rientro e compensazioni di bollette esose a carico degli enti;

– le tariffe elevate calcolate solo sulla base della programmazione e mai riviste a consuntivo degli investimenti non realizzati.

A distanza di 11 anni da un referendum che ha detto NO a questo modello economico e che ad oggi continua ad essere ignorato, un parlamento già scaduto si affretta ad approvare il DDL “concorrenza” rilanciando le privatizzazioni sui servizi pubblici essenziali.

Con l’Azione Popolare ci riprendiamo il diritto di contrastare scelte politiche scellerate che stanno portando il paese verso un degrado ambientale e sociale ormai sotto gli occhi di tutti e riportare al centro dell’attenzione principi universali di solidarietà, partecipazione e uguaglianza tra cittadini attraverso l’accesso per tutti ai servizi pubblici essenziali.

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Il Comitato Umbro Acqua Pubblica promuove ricorso contro Umbra Acque spa per chiedere in Tribunale la risoluzione anticipata della convenzione di gestione per inadempienza del gestore.

Era il 12 e 13 giugno del 2011 quando 26 milioni di italiani (quorum di partecipazione al voto che non si vedeva da anni) votarono per l’abrogazione dell’art. 23Bis del decreto Ronchi che spingeva alla privatizzazione del servizio idrico e dei servizi pubblici di rilevanza economica e per l’annullamento della componente tariffaria del profitto garantito (7%) nelle tariffe del servizio idrico (art. 154, c. 1 del D.Lgs 152/2006).

La volontà popolare era chiara: l’acqua è un diritto umano fondamentale e monopolio naturale quindi non può essere gestita con il sistema privatistico che ha come scopo il profitto. Al contrario la gestione deve essere pubblica e partecipata dai cittadini in modo da garantire a tutti la distribuzione e la conservazione della risorsa per le generazioni future e la tutela dell’ambiente.

Questa è la storia. Ma già prima del referendum, con l’attribuzione delle funzioni di controllo del servizio idrico all’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza sulle risorse idriche (D.L. 13 maggio 2011 n. 70) e poi con il D.L. 201/6-12-2011 del Governo Monti, la regolazione del servizio idrico fu affidata all’AEEG-SI oggi ARERA, per una gestione in regime di libera concorrenza, con tanto di profitti (rinominati oneri) tra le componenti tariffarie.

La privatizzazione era salva in nome dell’efficienza e del profitto, in Umbria sicuramente a favore della SUEZ (all’interno di ACEA, all’interno di Umbra Acque e del SII di Terni) ma non a favore dei cittadini.

Infatti mentre gli utenti hanno pagato regolarmente tutti gli aumenti tariffari nelle bollette dell’acqua il gestore privato non ha mai rispettato la programmazione degli investimenti da realizzare, spesso rimandando di anno in anno la realizzazione di lavori già coperti dalla tariffa.

In quasi venti anni di gestione privata gli effetti negativi sono sotto gli occhi di tutti:

-le perdite nelle reti hanno superato il 50% dell’acqua erogata (e oggi Umbra Acque spa si vanta di aver ridotto le perdite al 45%?);

-minori investimenti per la tutela della qualità dell’acqua;

-aumento di costi non programmati e operativi;

-canoni non pagati ai Comuni che ovviamente si ripercuotono anche in minori servizi ai cittadini;

-tariffe alle stelle e utili consolidati di milioni di euro (4,7 mil. nel 2021 e 6,9 mil. nel 2020).

Nonostante l’inefficienza di gestione l’AURI (l’Assemblea dei Comuni ricadenti nella gestione di Umbra Acque spa) ha premiato Umbra Acque spa deliberando l’estensione della Convenzione di 4 anni, fino al 31/12/2031, dimostrando ancora una volta la complicità tra politica e affari.

Dopo un lungo esame dei vari piani tariffari succedutisi nel tempo il Comitato Umbro Acqua Pubblica, per mezzo di una cittadina tra i fondatori del comitato e con il sostegno di altri 1000 utenti che hanno sottoscritto l’istanza, promuove un’azione popolare al Tribunale di Perugia per chiedere la risoluzione della convenzione con Umbra Acque spa a causa delle inadempienze commesse dal gestore durante tutto il corso dell’affidamento a danno di cittadini e utenti e per rivendicare il diritto all’acqua e alla vita per questa e le future generazioni.

Segue comunicato con i contenuti del ricorso.

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Bolletta acqua: le Partite pregresse non sono dovute, l’art. 31 della delibera dell’ARERA (ex AEEGSI) è illegittimo! Umbra Acque spa deve restituire i soldi agli utenti!

La contestazione delle partite pregresse sulla bolletta dell’acqua fu una delle battaglie portate avanti dal Comitato Umbro Acqua Pubblica nel 2015, quando una delibera dell’ATI 1 e 2 concesse ad Umbra Acque spa di recuperare i maggiori costi operativi sostenuti dal 2003 al 2010, addebitando in maniera retroattiva nelle bollette degli utenti € ‪5.272.714‬, con tariffa al mc in base ai consumi del 2012, e prelevando € ‪900.000‬ dai disavanzi di bilancio degli ATI 1 e 2.

Con ricorso straordinario al Capo dello Stato il Comitato Umbro Acqua Pubblica chiese l’annullamento di tale delibera, che rimetteva sulle bollette degli utenti i maggiori costi causati dall’inefficienza della gestione privata di Umbra Acque spa, azzerando il rischio d’impresa.

Questa è l’efficienza della privatizzazione!

Il TAR Umbria, andando anche contro una sua precedente sentenza (126/2011) che riguardava il SII di Terni, rigettò questa richiesta, ma oggi la Corte Suprema di Cassazione fa finalmente luce sulla vicenda, dichiarando “l’illegittimità del meccanismo recuperatorio” delle partite pregresse, nonostante siano previste dalla delibera dell’ARERA (ex AEEGSI). Nella sentenza si precisa infatti che la delibera dell’AEEGSI 643/2013, art. 31, in quanto provvedimento amministrativo, non deve essere in contrasto con la legge, in questo caso l’art. 11 disp. prel. C. C., quindi è illegittimo! 

E’ ora che Comuni (AURI) e gestori (Umbra Acque spa e gli altri) applichino correttamente la legge rimborsando questo  balzello imposto sulle fatture evitando aggravi di spese legali.  

Infatti se il gestore non rimborsasse spontaneamente gli utenti si potranno attivare  per ottenere il rimborso di quanto prelevato ingiustamente, se necessario anche ricorrendo legalmente con azioni individuali e/o collettive. 

A questo proposito invitiamo i titolari della bolletta dell’acqua a prendere contatti con il Comitato per avere tutte le informazioni necessarie e concordare le iniziative più opportune per ottere il rimborso, tutti i mercoledì dalle 18,30 a Perugia in via del Lavoro 29, tel. ‪075.5057404‬, e.mail acquapubblicapg@gmail.com

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10 anni, brutto compleanno referendum: Ancora Draghi!

11 e 12 giugno 2011:

Dopo una mobilitazione nazionale durata 11 anni, il movimento sull’Acqua Bene Comune, nato dal primo Social Forum Europeo a Firenze e cresciuto su tutto il territorio, ha portato 27 milioni di italiani a votare SI all’abrogazione del articolo 23 bis del D.L. 112/2008, che obbligava gli enti locali alla privatizzazione di tutti servizi pubblici, promosso dall’allora governo Berlusconi.

Cosa auspicata anche dal precedente governo Prodi, il quale già da quando presiedeva la Commissione Europea, nel 1999-2004, evidenziava che il 70% del PIL europeo era prodotto dalla spesa pubblica e che toccava trasferire una parte di questo PIL verso le aziende private.

L’impatto di questa gigantesca vittoriosa mobilitazione popolare (dove tutti i partiti sono stati lasciati al rango di meri sostenitori, perché coinvolti nella spartizione della torta dei servizi pubblici attraverso sistemi clientelari) doveva bloccare le politiche di privatizzazione dei servizi pubblici.

In questo contesto di terremoto politico-istituzionale si inserisce la lettera «segreta» LetteraDraghiTrichet5Ago2011 spedita il 5 agosto 2011 al governo italiano da Jean-Claude Trichet, allora presidente della BCE e da Mario Draghi governatore della Banca d’Italia, suo successore alla BCE dal 1°novembre 2011.

Le due istituzioni bancarie dettarono segretamente al governo il programma socio-politico-economico, esattamente opposto ai risultati referendari.

Il programma prevedeva, attraverso le riforme strutturali per rimanere nei parametri di Maastricht, la privatizzazione dei servizi pubblici e finanziamenti alle imprese private, l’affossamento della contrattazione salariale collettiva a favore di quella aziendale, la riforma delle norme sull’assunzione ed il licenziamento (che nel 2012 si trasformò nell’abolizione dell’art. 18), mobilità e flessibilità del mercato del lavoro.

Al fine della sostenibilità delle finanze pubbliche, inoltre dava indicazioni di accelerare i tempi per giungere al pareggio di bilancio, ovviamente attraverso i tagli di spesa, allungando l’età pensionabile ed equiparando l’età pensionabile delle donne del settore privato a quello pubblico “ottenendo dei risparmi già nel 2012”. Inoltre riduceva i costi del pubblico impiego bloccando il turnover e riducendo gli stipendi, tutto ciò da realizzare entro il settembre successivo.

Per concludere indicava di esercitare un controllo stretto dell’attività della pubblica amministrazione e sull’indebitamento, attraverso indicatori di performance e di abolire le Province.

Il governo “tecnico” Monti, con una maggioranza in parlamento del 96%, iniziò a realizzare il programma Draghi-Trichet, che dettò le linea di azione dei governi per i 10 anni successivi (Letta poi Renzi, poi Gentiloni per finire con Conte Uno e Due).

L’obiettivo di allora era bloccare le spese statali per non aumentare il debito pubblico già alle stelle e costosissimo in termini di interessi.

Quindi tagli alla sanità, alle università, alla ricerca pubblica e a tutto il sistema dell’insegnamento; riduzione delle spese nel settore della giustizia, tagli su tutti i servizi pubblici eccetto l’industria bellica, tanto che l’Italia è il secondo produttore mondiale nel settore delle armi leggere nonché dei sistemi di puntamento e tecnologia correlata.

10 anni dopo ci vogliono fare credere che il meccanismo si sia rovesciato ! Ma il dogma liberista è lo stesso e peggiorato!

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